🍌 6a Puntata. 🍌 Il REGIME dei Colonnelli 🏴‍☠️ VIETATO sognare!

🌶Pequeno resumen (Per chi non ha tempo da perdere): Chi pensava di sfuggire alle grinfie del regime, rifugiandosi sulle morbide nuvole del sogno, e cullando il desiderio di andare a vivere sull’Isola di Utopia, fu inchiodato alla triste realtà di gioire di patetiche feste comandate infarcite di lunghe conferenze, mostre e film di bassa qualità.

🥥 San Diego de Escobar, 10 marzo 1824

Dopo i duri anni in cui si mangiavano solo pannocchie di mais e patate bollite con qualche fetta di platano fritto nel grasso di maiale nero, era venuto il tempo dei ricchi piatti di pesce e dei capponi arrosto con riso e fagioli neri o rossi. La pancia piena aveva fatto nascere tanti nuovi bisogni. Gli uomini si erano stancati di tagliare alberi e spaccare la legna con la scure e usavano la motosega e lo spaccalegna. Quindi prima di mezzogiorno avevano già finito di caricare i muli e se ne tornavano al villaggio. Le mulattiere divennero piste; le piste si trasformarono in strade; le strade si allargarono a due corsie, fino a ingigantirsi nella forma di autostrade. Ma la legna non la tagliavano più e se la tagliavano era solo per il barbecue della domenica. Cataste di legna erano abbandonate a marcire nella foresta che tornava in alcuni luoghi ad essere selvaggia e ospitare famiglie di tucani appallottolati a dormire nel cavo degli alberi. 

Enormi petroliere scaricavano ormai sull’isola nafta o gas, lasciando dietro di sé una scia oleosa sulle acque. Perfino per fare la birra e il rum non si usava più la legna e le grandi caldaie vennero abbandonate sui greti dei torrenti e gli alambicchi arrugginirono nelle grotte carsiche. Fiumi di birra e rum arrivavano dal continente su cui pare ci fossero sorgenti naturali per riempire le botti. Così le donne vedendo gli uomini a spillare e ingurgitare birra per gran parte della giornata, avevano incrociato le braccia e si erano fatte installare in casa la lavatrice e la lavastoviglie. Finito lo sciabordare delle lavandare che oltre ai panni sbattevano sulle assi del lavatoio o sulle pietre levigate del torrente anche le vicende private del villaggio, finito il borbottio degli operai prima, durante e dopo i lunghi turni, che ripercorreva nei più intimi dettagli la vita della comunità e dei singoli, il fiume di informazioni preziose si riversò nelle sale da ballo, nelle palestre, nei saloni luminosi delle parrucchiere e delle estetiste.

Tanta bellezza fece perdere la testa a molti, che cominciarono a pensare al paradiso terrestre e alla ricerca della pietra filosofale che avrebbe permesso di prolungare la vita e goderne in eterno. Un clima di ebbrezza pervase il paese: ci si illuse che potesse esser festa tutto l’anno. 

Fu allora che i colonnelli approfittarono dell’euforia collettiva per trasformare l’illusione di vivere nel migliore dei mondi possibili, in una ideologia della fine della Storia. Il progresso tecnologico non fu più disposto su una linea temporale lanciata verso il futuro. Si ridurre tutt’al più a una spirale. Il carpe diem si trasformò in un malinconico accontentarsi dello status quo.

E avvenne che anche quelli che avevano gioito per non condurre più la dura vita dei loro avi si chiedessero se quella fosse davvero la condizione umana della felicità. Confrontarono le fotografie dai volti duri e segnati dalla fatica degli antenati con le facce abbronzate che si affacciavano sugli specchi ogni mattina. E qualcuno scorse un profondo vuoto negli occhi. Una ruga che increspava la fronte. Un pelo sul naso. Il fremito di un labbro. Un neo si manifestò come l’abisso della solitudine. L’esistenza si palesò come mera accumulazione seriale di cose. Anche le chiappe levigate di Venere si ritrovarono in un cumulo di stracci. Non solo la casa del vicino cominciò ad avere l’erbetta sempre più verde; ma qualcuno si avvide che molti non avevano il giardino, altri neppure la casa, altri manco quei capponi di cui parlavamo all’inizio di questa storia. Che tutta la meraviglia sopra descritta fosse per pochi? Per pochissimi? 

Si cominciò a vociferare che tutta la pioggia di gioia perenne fosse soprattutto (o soltanto) una narrazione. Una canzoncina cantilenata ogni giorno da un pastore laico, al posto delle funzioni religiose, dagli altoparlanti del Palazzo dei colonnelli. Quella che doveva essere la vita quotidiana del popolo era in realtà la giornata tipo dei colonnelli e dei loro accoliti o servi clientelari. 

Finché qualcuno ebbe l’ardire di immaginare che si poteva uscire dalla tristezza dello specchio, dalla routine di feste banali a comando, da tradizioni che tradivano il passato anziché tradurlo nel presente, dalla noia mortale delle lunghe conferenze di regime finalizzate alle pause caffè o aperitivo, dalle mostre ridotte a vernissage scoloriti, dal minestrone di spettacoli mediocri per riempire i cartelloni.

Quando questa vocina ribelle arrivò a Palazzo, erano le tre del pomeriggio di una ventosa giornata più estiva che primaverile e i colonnelli avevano appena terminato il frugale pranzo, a base di tartare di struzzo, agnolotti con il ripieno di iguana, piccioni en sarcophage, torta di ananas e sorbivano un calvados Pays d’Auge come digestivo, dopo aver già ampiamente profittato della trou normand. Un colossale rutto proruppe dagli altoparlanti del regime. Il TG serale avrebbe poi chiarito trattarsi di gemito del vulcano più attivo del solito e qualche buontempone suggerì che si trattava del ruggito di un leone fuggito anni prima da un circo e mai catturato.

Ma la buona digestione si trasformò in gastrite quando la vocina ribelle divenne una formale richiesta di elezioni sulla scrivania del Presidentissimo. Elezioni? si chiedevano i colonnelli: ma per far che? 

A che servono se tutto funziona e viviamo nel migliore dei mondi possibile? 

“Per cambiare!” urlò un popolano in mezzo alla folla del mercato (cosa che rese impossibile la sua identificazione e immediata carcerazione per disturbo alla quiete pubblica, istigazione alla rivolta e atto terroristico: quando basta per beccarsi una trentina d’anni di lavori forzati.

Il Presidentissimo in un lunghissimo discorso, durato 48 secondi, spiegò che erano inutili le elezioni, un inutile spreco di denaro, poiché la gente aveva smesso di votare, visto che i colonnelli si sarebbero comunque autorieletti a vicenda. E invitò a non farsi tentare da grossolane idee di cambiamento che avrebbero tolto tutto a tutti.

Il panico colpì la popolazione. C’era chi possedeva 4 galline e aveva faticosamente costruito un pollaio: era terrorizzato dal perdere tutto. Figurarsi chi aveva una pensioncina che gli permetteva un pacchetto di sigarette al mese e un piatto di fagioli al giorno: sarebbe morto di fame. No, era meglio non cambiare e accontentarsi. 

Ma un bambino scrisse nella pagina dei pensierini per la maestra che aveva tanti sogni e che nessuno glieli avrebbe mai portati via e che quei sogni lo rendevano più felice delle 4 galline del nonno e della pensioncina della nonna.

Apriti cielo! Fu avviata un’ispezione scolastica. La maestra fu sospesa per 25 mesi. L’alunno fu rimandato all’asilo perché maturasse. La pagina dei pensierini fu sequestrata per studiarla e risalire alla fonte di ispirazione. Epperò la notizia che i sogni erano parte fondamentale della felicità umana si diffuse come la peste bubbonica.

Le persone tornarono al mattino presto sul bagnasciuga della spiaggia a correre per sognare ad occhi aperti e si ritrovavano al tramonto per sognare in gruppo un mondo migliore.

Fu così che i colonnelli, per ordine del Presidentissimo, fecero installare sulle spiagge, agli angoli delle vie, nelle piazze, davanti ai bar e ai chioschi di gelato, un’ordinanza suprema, per il bene e la felicità del popolo, che prevedeva pene severissime per i trasgressori, anche minorenni, sintetizzata da un cartello, riprodotto poi anche da grandi manifesti pubblicitari, disseminati ovunque sull’isola: VIETATO SOGNARE!

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